Souvenir (di Alberto Negri)

 

C’è stato un tempo in cui Siria e Iraq erano ancora il nome di due Paesi, di due nazioni. La Siria da cinque anni e l’Iraq da due decenni sono il luogo di massacri indicibili e che pure abbiamo testimoniato. Siria e Iraq ormai esistono quasi soltanto con un acronimo, il Siraq, che a sua volta ne rievoca un altro, l’Af-Pak. La geopolitica non manca di fantasia: come chiameremo tra un po’ di tempo la Libia divisa da tre anni tra Tripolitania e Cirenaica? E forse avremo ancora uno Yemen del Nord e uno del Sud, questa volta non separati delle ideologie ma dal settarismo.

Forse si aspetta soltanto il momento in cui questi stati verranno definitivamente frantumati in entità diverse, magari riuniti sotto il nome che avevano prima come in una sorta di fiction per nascondere la realtà di un mondo di ex stati, popoli e Paesi. E pensare che il 1989 era finito con il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie. Eppure proprio quell’anno Slobodan Milosevic, celebrando i 600 anni della battaglia di Kosovo Polje, il Campo dei Merli, dava il via alla disgregazione della Jugoslavia di Tito che si è poi propagata nel tempo all’Est Europa fino all’Ucraina. Ma allora tutti correvano a Berlino a prendere un pezzo di Muro come un souvenir della fine della storia. 

C’è stato un tempo in cui si volevano costruire degli stati e addirittura sovranazionali che contenessero, etnie, culture, lingue diverse. Non sono finiti soltanto gli stati, sono finiti i popoli stessi, intesi come volontà di vivere insieme e di condivisione di una comunità politica e sociale. La caduta dei dittatori, da Saddam alle primavere arabe, ha mascherato con la loro fine il tramonto dell’era post-coloniale. Anche la crisi della Turchia di Erdogan risponde a questa tendenza: quella di uno stato-nazione che ha dovuto rassegnarsi quasi un secolo fa all’identità turca per sopravvivere al crollo di un’Impero ottomano che era molto di più che turco. Al punto che oggi per contenere i curdi la Turchia ricorre alla violenza e all’espansione militare oltre i suoi confini. Non è un segnale di forza ma di debolezza. 

Finiti i popoli, con la loro complessità, ricchezza e molteplicità, è rimasto però il populismo, l’estremo tentativo di dare un senso purchessia a qualche cosa che si è esaurito, una sorta di degenerazione finale, accompagnata dalla menzogna che “puri” si vive meglio.